Antonio Conte lo ha fatto capire a più riprese quando solleticato sulla questione: vige il divieto di parlare di tattica. Rispedite al mittente tutte le domande degli addetti ai lavori, con sprezzo e arroganza. “Si sono dette tante cose non vere“, “Sono io l’allenatore e so cosa è più giusto fare“. L’allenatore salentino, difende – avvalendosi naturalmente di un lecito diritto – il proprio lavoro e quello di tutto il suo staff. Restano inesplorati tanti temi che però solleticano con una certa insistenza le menti di tifosi e giornalisti, i quali diventano prontamente etichettati in maniera più o meno velata come “incompetenti” o “gufi” quando sollevano dubbi. L’abbiamo ripetuto anche nell’analisi post-gara di ieri, Conte si sofferma su cuore, occhi da guerrieri e Vidal portiere.
Dimentica però spesso la ragione che porta una buona fetta di appassionati – non tutti – a voler guardare il calcio non per forza sventolando il bandierone, ma anche a volerlo approfondire. Chi meglio di un tecnico, pagato (non poco) anche per raccontare ciò che si vede in campo a stampa e tifosi? L’atteggiamento di Conte è spesso di chiusura totale, che spesso purtroppo sfocia in arroganza (addirittura negli sfoghi estivi chiedeva tutela in tal senso dalla società). Sia chiaro, non è l’unico in Italia, nonostante in questo senso possiamo accogliere positivamente le eccezioni Gattuso e De Zerbi. Ed è forse questo – diritti televisivi a parte – un punto importante in cui varrebbe la pena avvicinarsi alla Premier League.
La logica conseguenza di questa comunicazione chiusa è il risultatismo, corrente di pensiero evergreen nel nostro Paese. L’allenatore è un cretino quando non vince, i calciatori sono pippe quando giocano male e i giornalisti criticano perché rosicano. Il calcio non diventa più sport, ma assomiglia più al trash talking. In quel caso ovviamente, ci si appella all’incompetenza altrui per giustificare momenti no o all’ambiente “difficile”. Il punto è che sarebbe bello se tutti si prendessero le proprie responsabilità, a partire dagli allenatori. A loro l’onere di educare gli ignari e di raccontare cosa accade sul prato verde. A costo di risultare ripetitivi, lo sottolineiamo ancora una volta: vengono pagati tanto anche (e soprattutto) per svolgere quel lavoro lì.
Mario Garau